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Tangentopoli

Aggiornamento: 1 ago 2020

Oggi torniamo a tenervi compagnia parlando di un periodo della storia italiana molto affascinante. Parliamo di un tempo non molto lontano, che ha segnato un passaggio fondamentale per arrivare all’Italia che conosciamo oggi. Parliamo di Tangentopoli.


Tangentopoli è un termine giornalistico creato all’inizio degli anni Novanta, significa “città delle tangenti” ed è riferito a Milano, che proprio in quel periodo fu al centro di una famosissima inchiesta giudiziaria (“Mani Pulite”, altra definizione giornalistica) che mise sotto accusa il sistema politico cittadino e, a cascata, quello nazionale.


L’espressione Tangentopoli diventò rapidamente di uso comune e in seguito fu utilizzata tutte le volte che in Italia scoppiava uno scandalo che riguardava la corruzione della politica e dell’amministrazione pubblica. E’ stata declinata anche in altre formule, “Calciopoli”, “Affittopoli”, “Sanitopoli”, quando gli episodi di corruzione hanno riguardato particolari settori della vita nazionale.


Ma vediamo come nacque e si sviluppò la “Tangentopoli” originale.



L’inchiesta Mani Pulite


Tutto cominciò lunedì 17 febbraio 1992 quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro arrestò l'ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese, colto in flagranza mentre intascava una tangente da un imprenditore in cambio di un appalto.


Trentacinque giorni dopo l'arresto, Chiesa iniziò a collaborare con i giudici rivelando che il sistema delle tangenti era molto esteso e che la tangente era diventata una sorta di “tassa”, richiesta nella stragrande maggioranza degli appalti.


A beneficiarne erano politici e partiti di ogni colore, specialmente quelli al governo come la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Socialista Italiano (PSI). Chiesa fece anche i nomi delle persone coinvolte, innescando una catena di confessioni che portò, nel volgere di pochi mesi, all'incriminazione di diverse decine di amministratori pubblici e imprenditori. Molti industriali e politici furono arrestati per reati quali concussione, corruzione, ricettazione, associazione a delinquere, violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti.


Le indagini erano coordinate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, a capo di un pool di magistrati che divennero molto popolari: Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Ilde Boccassini, Gerardo D’Ambrosio.



Man mano che procedevano le confessioni, le inchieste si propagarono ad altre città, interessando Procure e Tribunali di tutt’Italia e travolgendo la classe politica al potere.


Le indagini giudiziarie portarono infatti alla luce un panorama di corruzione diffusa, dal quale nessun settore della politica nazionale o locale appariva immune. Un vero e proprio sistema che coinvolgeva imprese private, uomini politici e amministratori pubblici.


Venne scoperto un utilizzo sistematico di tangenti nella aggiudicazione e gestione degli appalti relativi a strade e autostrade, aeroporti e metropolitane, enti pubblici di varia natura. Furono coinvolte le principali imprese pubbliche, dalle Ferrovie alle Poste, dall'Enel all'Eni, così come le maggiori imprese del Paese, dalla Fiat all'Olivetti.


I partiti utilizzavano le risorse così illecitamente raccolte per finanziare la loro costosa struttura organizzativa, realizzare iniziative che portavano consenso e quindi voti, sostenere i costi delle campagne elettorali e, non ultimo, arricchire il patrimonio personale dei leader più disinvolti e senza scrupoli.


Le indagini di “Mani Pulite” furono accompagnate dal consenso dell’opinione pubblica, che sosteneva i magistrati nella loro azione di contrasto contro la corruzione e il malaffare nella vita pubblica.

Furono giorni intensi e drammatici per la vita del Paese, vissuti in un clima di accesa partecipazione, tra continui colpi di scena, arresti eccellenti, accuse e scontri con le forze politiche che tentavano di resistere e difendersi dal ciclone giudiziario che le aveva messe sul banco degli imputati.


Oltre 5000 persone, tra cui 4 ex Presidenti del Consiglio e circa 200 parlamentari, furono indagate nel solo filone milanese delle indagini.

In generale, si ritiene che l'inchiesta Mani pulite, abbia portato a 1.300 fra condanne e patteggiamenti definitivi.


Non mancarono gli episodi tragici. Furono ben 41 le persone che si tolsero la vita: uomini politici, amministratori pubblici, manager. Tra questi personaggi di spicco come Sergio Moroni, deputato del Partito Socialista e tesoriere del partito in Lombardia (2 settembre 1992), Gabriele Cagliari, Presidente dell’ENI, uno dei più importanti manager pubblici, che si tolse la vita dopo quattro mesi nel carcere di San Vittore (20 luglio 1993), Raul Gardini, manager a capo dell’impero agro-alimentare della famiglia Ferruzzi di Ravenna, indagato per una maxi-tangente da 150 miliardi dell’affare Enimont (23 luglio 1993).


La fine della Prima Repubblica


Le indagini giudiziarie provocarono il crollo di quella che fu poi chiamata la “Prima Repubblica”, il sistema politico che aveva governato l’Italia dal dopoguerra.


I principali partiti di governo, usciti ammaccati dalle elezioni politiche dell’aprile 1992, furono in grado di formare un nuovo governo (Governo Amato, sostenuto da DC, PSI, PSDI e PLI), che però venne progressivamente indebolito dall'ondata di arresti e di avvisi di garanzia che si susseguivano e colpivano anche i leader politici, costringendoli alle dimissioni.

Le elezioni locali dell'autunno 1992 confermarono la crisi dei partiti tradizionali: la DC e il PSI persero ciascuno circa la metà dei voti. Nelle amministrative del 6 giugno 1993 i partiti di governo conobbero un altro pesante tracollo: la DC perse nuovamente metà dei voti e il PSI quasi sparì.


Un altro segnale molto chiaro della sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti della politica tradizionale venne dal referendum del 18 aprile 1993, promosso dal democristiano dissidente Mario Segni. In quell’occasione gli elettori votarono in massa a favore dell'introduzione del sistema elettorale maggioritario al posto del tradizionale sistema proporzionale.

Venne così approvata nell'agosto di quell'anno una nuova legge elettorale che inaugurava un sistema misto, per tre quarti maggioritario e per un quarto proporzionale. Con questo si andò alle elezioni politiche del marzo 1994, vinte da Forza Italia, il nuovo movimento politico fondato dall’imprenditore televisivo Silvio Berlusconi.



L’Italia voltava pagina. Le inchieste giudiziarie continuarono ma persero progressivamente vigore, ostacolate da provvedimenti legislativi che le rendevano più difficoltose e senza avere più il sostegno massiccio dell’opinione pubblica, che anzi andava affievolendosi.


La corruzione, però, non sparì per niente dal panorama politico italiano.

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