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Big tech vs editoria

Lo scontro tra Big Tech e mondo dell’editoria è molto più centrale di quello che pensiamo. Cosa succederebbe se cercando su Google non trovassimo più il link ad un giornale? O se scorrendo Facebook non potessimo più vedere le notizie?

Il rapporto fra Big Tech e editoria è uno dei tanti vuoti normativi che caratterizza il mondo di internet. Da un lato il mondo dell’editoria, che pretende di essere pagato per i contenuti di qualità che fornisce ai motori di ricerca. Dall’altro Google, Facebook e altri, che pretendono di essere pagati per la visibilità offerta ai giornali. La questione non è affatto banale. La Commissione Europea ha provato a porre rimedio alla situazione con una direttiva, ma anche altri stati, come l’Australia, stanno affrontando il problema. Che con la pandemia sembra ancora più lontano dalla soluzione.




Unione Europea


A cavallo tra 2018 e 2019, all’interno delle istituzioni europee c’è stato un intenso dibattito su una nuova direttiva sul copyright - cioè i diritti d’autore.


Il dibattito era incentrato su due articoli in particolare: il numero 11 e il numero 13 (poi diventato 17).

L’articolo 11 mira a far attribuire un compenso agli editori dalle piattaforme online, mentre il 13 vuole responsabilizzare maggiormente le piattaforme per le violazioni dei diritti d’autore. Il dibattito era causato dai dubbi sulle possibili conseguenze, cioè che potessero esserci serie limitazioni alla libera diffusione delle informazioni online.


L’articolo 11, in particolare, è quello che si occupa del rapporto tra editori e grandi piattaforme. Piattaforme come Google e Facebook, infatti, ottengono grandi ricavi dalla pubblicità presente sulle loro pagine, che sono spesso caratterizzate dalla presenza di molte notizie prodotte dai media, i quali però non vengono pagati per i ricavi che le loro notizie hanno contribuito a generare. D’altra parte, le piattaforme sottolineano come gran parte del traffico registrato dagli editori arrivi dalle anteprime pubblicate da loro, sia sui social che sulle pagine dei motori di ricerca.

Dunque viene stabilito che le anteprime degli articoli possano apparire sulle pagine motori di ricerca solo sotto licenza, cioè pagando gli editori.

Vengono esclusi link utilizzati privatamente e il loro impiego non commerciale.


L’articolo 13 prevede invece che le piattaforme controllino in qualche modo i contenuti pubblicati, escludendo quelli protetti da copyright. Oltre al problema di società private che controllano cosa possa essere pubblicato e cosa no, con possibili e probabili errori nella censura senza giustificato motivo di alcuni contenuti, altri dubbi riguardano i costi e le difficoltà tecniche che le piattaforme dovrebbero affrontare.


FOCUS: Che cos’è una direttiva? E’ una norma emessa da Parlamento e Consiglio europeo che obbliga gli Stati membri ad un determinato risultato.


Dunque, è vincolante riguardo agli obiettivi da ottenere. Una direttiva, prima di essere applicata, deve essere “recepita” dagli Stati, attraverso l’adozione di leggi nazionali che permettano di ottenere gli obiettivi previsti. L’obiettivo finale delle direttive è quindi quello di “armonizzare” le leggi all’interno degli Stati membri, affinché vi sia una certa unità all’interno dell’Unione Europea.



Australia


A luglio 2019, l’agenzia australiana che si occupa di competizione e protezione dei consumatori pubblica un report indicando il grande potere di mercato di Google e Facebook nel digitale, suggerendo alcune modifiche legislative per rinforzare la privacy dei consumatori e regolamentare meglio l’uso dei loro dati da parte dei big tech. Tra i suggerimenti si trovano anche delle modifiche nel rapporto tra media australiani e le due compagnie.

Infatti, Google e Facebook fanno la parte del leone quando si parla di ricavi pubblicitari online, senza però condividerli almeno in parte con i media, da cui prendono molti dei loro contenuti. Infatti, qualsiasi contenuto giornalistico viene spesso mostrato sui social o sui motori di ricerca, senza però un accordo in cui sia specificato come monetizzare o condividerlo.

Perciò l’autorità australiana raccomanda un codice di regolamentazione per governare le relazioni tra Google, Facebook e i media.


Aprile 2020

Il piano australiano era di negoziare con le due big tech fino a novembre 2020 per cercare un accordo tra le parti ed evitare azioni dannose ad entrambe.

Poi è arrivata la pandemia, con la sua crisi economica, e ha convinto il governo australiano ad accorciare i tempi e cambiare alcune modalità su cui si stava negoziando. A causa della pandemia infatti i media si sono trovati sotto una grande pressione finanziaria, in seguito ad una forte diminuzione delle entrate pubblicitarie, che spesso sono gran parte dei ricavi di queste aziende. La bozza di legge prevedeva pagamenti da parte delle piattaforme verso gli editori su base volontaria.


Luglio 2020

A differenza della bozza su cui si stava lavorando, che prevedeva il pagamento dei contenuti da parte di Google e Facebook su base volontaria, la nuova proposta governativa è basata sull’obbligo di pagamento.

Inutile dire che a Google non è piaciuta affatto la novità e per questo l’azienda americana ha prima risposto duramente con una lettera aperta rivolta al governo australiano e poi cercato di convincere i cittadini della bontà della propria posizione.

Il dibattito si è scaldato al punto che pure un centro australiano indipendente di ricerche tecnologiche ha accusato Google di aver “distrutto un modello di business che ha supportato il giornalismo indipendente per più di 150 anni”.


Francia


Settembre 2019

In seguito alle nuove norme europee sul copyright, Google decide di pubblicare solo i titoli degli articoli, lasciando la possibilità di scelta agli editori sul mostrare o meno le anteprime. In questo modo la compagnia americana evita di pagare gli editori, come previsto dalla normativa UE adottata a marzo 2019 e a cui ogni Stato membro deve attenersi.


Aprile 2020

L’antitrust francese ha ordinato a Google di pagare gli editori dei quotidiani francesi per aver pubblicato contenuto protetto da copyright.

I contenuti in questione sono le anteprime degli articoli pubblicati sulle pagine di Google.

Sono stati concessi tre mesi di tempo a Google per trattare con editori e agenzie di stampa e trovare un accordo per il pagamento degli articoli presenti sulle sue pagine.


Google


Giugno 2020

Google annuncia che avrebbe pagato alcuni editori di Australia, Brasile e Germania per l’utilizzo di contenuti di “alta-qualità”. L’azienda si è addirittura spinta a dirsi disponibile a rendere gratuiti per gli utenti alcuni articoli soggetti a paywall sui siti degli editori, pagandoli al posto loro.


Ottobre 2020

Sundar Pichai, CEO di Google e Alphabet (holding di Google), annuncia un investimento di 1 miliardo di dollari in partnerships con editori di tutto il mondo. L’accordo prevede il pagamento degli editori per la creazione di contenuti di alta qualità da pubblicare su News Showcase, nuovo prodotto Google con l’intento di fornire una nuova esperienza di lettura delle notizie.



Gli ultimi avvenimenti


Febbraio 2021

News Corporation, la compagnia di Rupert Murdoch che oltre a molte pubblicazioni locali australiane possiede anche The Sun, The Times e il Wall Street Journal, ha raggiunto un accordo di tre anni con Google per il pagamento dei suoi contenuti.

Le due aziende collaboreranno in diversi modi: i contenuti di News Corp verranno promossi su Google News e la stessa News Corp avrà più controllo su quali storie promuovere e come queste appariranno agli utenti. Inoltre, condivideranno i ricavi pubblicitari e investiranno insieme su contenuti giornalistici da pubblicare su YouTube.


In tutto ciò, Microsoft aveva dichiarato recentemente il suo supporto al progetto di legge, sostenendo che misure simili andassero adottate anche negli Usa.

Questo perché nel caso in cui Google si fosse ritirato dall’Australia, il motore di ricerca di Microsoft (cioè Bing) ci avrebbe guadagnato enormemente.


Lo stesso giorno dell’accordo tra Google e News Corp, Facebook ha annunciato di aver bloccato la condivisione dai siti di notizie in Australia.

Questo vuol dire che non si possono più condividere link che rimandano agli articoli dei siti dei giornali e che gli stessi giornali non possono più segnalare i loro pezzi sulle loro pagine Facebook - cosa che ovviamente li beneficia in termini di visibilità.

Questa azione non ha coinvolto solo i quotidiani però: sono state bloccate anche pagine legate ad alcune istituzioni e no-profit.

L’azienda di Zuckerberg si è giustificata con la vaghezza della legge e ha promesso di rivedere i contenuti bloccati e di rimediare per i casi non coperti dalla norma australiana.


La differenza di approccio tra le due compagnie è anche dovuta all’importanza delle notizie nel loro modello di business: mentre per Facebook le notizie stanno diventando sempre meno importanti, per Google sono fondamentali, in quanto parte dei risultati del motore di ricerca e indicizzate automaticamente.





 

FONTI E APPROFONDIMENTI


Facebook ha bloccato la condivisione di notizie in Australia, Redazione, Il Post, 18 Febbraio 2021

Microsoft weighs in on looming news battle in Australia, Sara Fischer, Axios, 16 Febbraio 2021

Our $1 billion investment in partnerships with news publishers, Sundar Pichai, Google Company News, 1 Ottobre 2020

Google to pay for 'high quality' news in three countries, Rory Cellan-Jones, BBC, 25 Giugno 2020

Google contro la legge australiana su Google, Redazione, Il Post, 9 Aprile 2020

L’Australia obbligherà Google e Facebook a pagare per le notizie che mostrano, Redazione, Il Post, 9 Aprile 2020

L’Antitrust francese ha ordinato a Google di pagare gli editori per le anteprime delle notizie pubblicate sulle sue pagine, Redazione, Il Post, 9 Aprile 2020

Google non mostrerà più le anteprime degli articoli in Francia, Redazione, Il Post, 25 Settembre 2019

Crackdown on Facebook, Google looms as ACCC hands down its final report into digital platforms, Nassim Khadem, ABC, 26 Luglio 2019

La riforma del copyright è stata approvata, Redazione, Il Post, 26 Marzo 2019









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